Cagliari, 27 dic 09 (L'Unione Sarda) - Alcoa, Polimeri, Vinyls, Equipolymers, Legler. Potrebbe continuare a lungo l'elenco sinistro della grande industria che, in Sardegna, accompagna alla porta un anno orribile. Una realtà figlia legittima della crisi globale e che da queste parti paga lo scotto di un'insularità mai sfruttata come una risorsa. Non sorprende, allora, come certifica l'Istat nella rilevazione sulle forze di lavoro presentata nei giorni scorsi, con la foto del terzo trimestre 2009, se l'industria in Sardegna, nell'ultimo anno, abbia bruciato 20 mila buste paga. Con un tasso di disoccupazione generale del 12,7%, più di quattro punti sopra la media di un'Italia che, con l'8,2%, non ha certo motivo di gongolare. Non sorprende se è proprio la Sardegna, con un secco meno cinquanta per cento , a guidare il calo dell'export del sistema-Italia. Un crollo, quello sardo, direttamente proporzionale alla riduzione dei prodotti petroliferi raffinati alla Saras che, non a caso, ha approvato di recente una delle peggiori trimestrali della sua storia.
LA CRISI DIVORA IL PECORINO Meno benzina, ma anche meno forme di formaggio hanno lasciato le sponde sarde. La voce più importante delle esportazioni dell'agroalimentare si chiama Pecorino romano, sardo al 97%. Buona parte della produzione viaggia da un secolo verso gli Stati Uniti d'America, presi a bastonate dalla crisi. Meno soldi, consumi in calo, meno formaggio da grattugiare sulla pasta. E poi l'euro forte sul dollaro non agevola chi deve vendere su un mercato che non è certo diventato povero dall'oggi al domani, ma spaventato sì. Ci sono evidenti segnali di ripresa per i connazionali di Barack Obama, ma il rischio è che si abbassi pericolosamente il prezzo del latte di pecora, il vero petrolio dell'economia sarda. L'Isola accentra più della metà della produzione italiana, con 3 milioni di capi ovini e oltre 12 mila aziende. Sullo sfondo, tra le difficoltà dell'ortofrutta piuttosto che della cerealicoltura, c'è l'annosa vicenda dei debiti (legge 44 e non solo): qualcuno ha indicato una via possibile, ma che ora va percorsa senza altri indugi.
IL RITORNO DEGLI STRANIERI C'è anche qualche luce, per fortuna. E arriva guarda caso da quel settore, il turismo, che oggi vale sì e no il 5% del Prodotto interno lordo. Troppo poco, quasi una miseria se si considera che la Sardegna, nel piatto dell'industria delle vacanze, ha da offrire quanto poche realtà al mondo. Elaborando i dati della Banca d'Italia, il Centro studi L'Unione Sarda ha quantificato nel 41,4% la crescita dei turisti stranieri, in Sardegna, nei primi otto mesi del 2009, messi a confronto con lo stesso periodo dell'anno prima. L'anno volge al termine senza che ci siano dati su cui avviare ragionamenti e programmi per il 2010. La Regione ci sta lavorando, ma in attesa di mettere su, finalmente, un Osservatorio che monitorizzi quasi in tempo reale arrivi e presenze, si è ripreso a investire sul mercato nazionale con azioni di promozione e di marketing. E con una sorta di operazione-simpatia (leggi anche la cancellazione di alcune tasse sul turismo) di cui, francamente, si avvertiva il bisogno.
SORPRESA: CRESCE IL CONTO IN BANCA Sorprende, in positivo, che in un anno così difficile siano cresciuti i risparmi delle famiglie e delle imprese sarde. Il dato a disposizione si riferisce a luglio: nella cassaforte delle banche sarde c'erano quasi 16 miliardi di euro, +7,6% rispetto al 31 dicembre 2008, con un incremento di un miliardo abbondante. Una crescita ancora più significativa se si considera che, nello stesso periodo, i depositi, in Italia hanno perso lo 0,1%. Crescita zero, invece, per le imprese sarde, ma se non altro non c'è il segno meno. Ed è giusto evidenziare che lo sforzo dei risparmiatori non coincide con la disponibilità delle banche. Ragionando sempre sui dati medi e quindi senza personalizzare tentativi di disimpegno, dai dati della Banca d'Italia viene fuori che l'indice di utilizzazione della raccolta bancaria - ovvero l'indicatore che misura quanta parte dei depositi viene reimpiegata dalle banche sotto forma di finanziamenti - in Sardegna ha fatto un leggero passo indietro. Peccato.
LACRIME DAI SERVIZI Piange il telefono, purtroppo. Tanti giovani, molti diventati grandi in un call center, si ritrovano senza un lavoro o con il rischio di perderlo, davanti allo stipendio che non arriva o a un piano industriale che sposta i servizi dalla Sardegna a Milano. Nomi noti alla cronaca per un sit-in, uno sciopero, una mobilitazione ad oltranza sono quelli di Omnia e persino di Sky Italia. Forze lavoro che rischiano di irrobustire quel già preoccupante 12,7% che è l'indice di disoccupazione dell'Isola.
L'ARTIGIANATO CRESCE C'è voglia di rilanciare, però, in una terra dove gli abitanti - per antonomasia e non solo - hanno la testa dura. C'è più d'un segnale da interpretare. I risparmi, certo, anche se si tende a essere prudenti proprio quando c'è da far passare la nottata. Il turismo, ancora di più. Ma è forse dall'artigianato che arrivano chiari segnali di riscossa. A settembre c'erano 42.117 imprese, 927 in più rispetto con una base di confronto quinquennale. Tradotto, fa 2,2%, che vale molto di più se si considera che l'Italia si è fermata a +0,4% (-1% il Mezzogiorno) e, soprattutto, che quel +927 sardo pesa per il 16% sull'incremento dell'intero Paese. Imprese piccole, piccolissime che guardano in faccia la crisi con una voglia matta di accompagnarla alla porta. L'anno nuovo è lì, dietro l'angolo. E la Sardegna, con i suoi artigiani e non solo, ha una voglia matta di ripartire.
EMANUELE DESSÌ