Cagliari, 28 dic 09 (La Nuova Sardegna) - Il custode dei segreti millenari della chiesa, di quella che - con centotrentacinque parrocchie - ricade nella Diocesi di Cagliari, è un docente della facoltà teologica della Sardegna, ordinario di Storia delle chiesa contemporanea e di Archivistica ecclesiastica, autore di oltre quaranta pubblicazioni scientifiche. Di cognome fa Cabizzosu, di nome Tonino (così - col secondo nome Franco - è stato registrato all'anagrafe del Comune di Illorai dove è nato, ultimo di undici fratelli, quasi sessanta anni fa, esattamente il 27 marzo 1950).
È lui il direttore dell'Archivio Storico Diocesano, secondo piano di via monsignor Cogoni, zona seminario, sotto i pini tra Monte Claro e il colle di san Michele. Un archivio monumentale dai primi documenti delle "Carte Volgari Cagliaritane fra il 1130 e il 1240", 22 pergamene con le donazioni di terreni dei Giudici al vescovo di Suelli, altre 1500 pergamene ("purtroppo trascurate dagli studiosi") non solo sulle vicende religiose ma anche "sulla storia sociale, sui rapporti economici in Sardegna dal Medioevo ai giorni nostri". Dice: "Del primo millennio non c'è nulla per un incendio che nel 1380 distrusse a Cagliari mezzo Castello". Ma l'Archivio è come una biblioteca alessandrina formato Sardegna, qui si scoprono le radici dell'Isola, fede e tradizioni, studi e inchieste, amori leciti e illeciti. Ci sono gli "Sponsali" creati dopo che il Concilio di Trento (1563) aveva stabilito l'obbligo "di registrare, in modo solenne, i matrimoni ufficiali per contrastare quelli clandestini". Spiega monsignor Cabizzosu: "In Sardegna molte coppie povere, che non potevano affrontare le spese per nozze regolari, convivevano. Sposo e sposa si scambiavano l'impegno per la futura vita coniugale di fronte ai rispettivi parenti. E di ciò si ha una documentazione copiosa e consente di leggere su una fragilità economica diffusa, spesso devastante". Sponsali da una parte e poi i "Fondi" con i "Quinque libri" per ogni parrocchia, autentiche miniere di vita (compilazione dei registri di battesimo, cresima, morte, matrimoni, stato delle anime con gli elenchi dei confessati e dei comunicati). Per la parte amministrativa spicca il settore "Causa Pia". Qui, dai primi del Seicento, vengono annotate tutte le spese per le committenze agli operai, agli artisti. "Fascicoli eccezionali, naturalmente di tipologie diverse. Il parroco urbano era ovviamente più raffinato di quelli del Gerrei ma in diversi casi si notano parroci scrupolosi, colti, baluardi di fede ma anche di dedizione sociale".
E i libri sull'Inquisizione. Cabizzosu: "I tribunali ecclesiastici erano in ciascuna Diocesi. Diocesi spesso anomale, comprendevano anche il Nuorese fino a Siniscola e Posada. Iglesias diventa autonoma nel 1764, Lanusei dal 1824". Che cosa emerge? "Questi documenti non raccontano la storia dei vertici ma della gente comune. Gente profondamente religiosa ma soprattutto umana. Emergono i conflitti sociali ma anche episodi di solidarietà umana, fratellanza, rispetto. Soprattutto in occasione di pestilenze e carestie".
I visitatori? Soprattutto ricercatori e studiosi. Che (dal lunedì al mercoledì) passano in biblioteca almeno quattro ore filate al giorno di ricerche. Enrico Fanni è un medico di base, segretario dell'Associazione "Clemente Susini", figlio di Giovannino Fanni, medico anche lui, 83 anni. "Dagli archivi della parrocchie emergono le grandi epidemie. I romani chiamavano la Sardegna isola pestilente a causa della malaria chiamata intemperie. Sono molto documentate le cronache del colera a partire dal 1800 fino al 1911-1912, la difterite che provocava la morte per soffocamento e il favismo. Sono ricche di notizie le pagine sulle morti per Tbc addominale a Sant'Avendrace dove la malattia era ai primi del secolo scorso un'autentica piaga".
I frequentatori dell'Archivio e venti i volontari. Tra loro Raffaella Pani, madre dello scrittore Flavio Soriga: "Aiuto chi ha difficoltà nelle ricerche, stare fra i libri antichi è eccitante, ogni giorno scopri qualcosa di nuovo". L'interesse maggiore è per le genealogie. Giorgio Pispisa, 60 anni, di San Vito è risalito al quadrisavolo "Juan Antonio sposato nel 1703, figlio di Juanna Uceri". Sergio Utzeri, 61 anni, di Quartucciu. "Ho ritrovato un quinquisnonno del 1740". Nella sezione microfilm è al lavoro con mouse Lidia Siguri di Cagliari: "Ho scoperto che i miei antenati erano spagnoli, uno di Siviglia, un altro di Alicante. Il cognome originario era Segur, mia nonna si chiamava Lopez, il nonno Francisco era un falegname".
Tra questi ricercatori monsignor Cabizzosu passa le sue giornate leggendo, scrivendo, insegnando ("tra i miei allievi centinaia di sacerdoti"). E pubblicando. L'ultima sua opera - "Ricerche socio-religiose sulla Chiesa Sarda tra'800 e'900", 623 pagine - spazia dalle "Fontes manuscritas in limba sarda", al "Registro segreto nel tempo della sede vacante cagliaritana nel 1797" con un documentato saggio sulla "Stampa cattolica e società ozierese tra il 1922 e il 1933".
Una figura tra le più preparate, apprezzate, note della chiesa isolana. Con salde radici tra Goceano e Costera. Il padre, Giuseppe Agostino, commerciante dinamico e proprietario terriero con tancati fra Badd'e crabiles e Sos Culumbos. La madre, Mattia Delogu, "sapiente e sensibile, muore il 17 luglio 1974". Tonino frequenta le elementari a Illorai, gioca con Giuseppe Sogos e Giovannangelo Cossu, tra "Regem venturum" e "Tantum ergo" fa il chierichetto a monsignor Antonino Ledda nella chiesa di san Gavino Martire. Medie a Brugnato, in provincia di La Spezia, quattro anni a Lanusei quando era vescovo l'ozierese Lorenzo Basoli, studia anche ai Salesiani, "l'università ogliastrina di don Bosco". Poi il seminario-mito di Cuglieri, maturità classica a Bosa, campeggi a Santa Sofia di Laconi e Foresta Burgos, dal 1971 al'75 a Cagliari dai Gesuiti. Teologia, la tesi sulla Chiesa sarda discussa con padre Giacomo Martina dell'università Gregoriana stampata poi in volume a Ozieri da "Il Torchietto". È sacerdote il 2 agosto 1975. Prima messa a Illorai, a San Gavino. Anche per un novello sacerdote cantano "Ecce sacerdos magnus qui in diebus sui placuit Deo". Festa grande. E tempi nuovi. Già dai giorni del seminario. In una autobiografia ("Percorsi di fede e ricerca scientifica di un presbitero sardo") scrive: "Il concetto di autorità-autoritarismo veniva messo in discussione". E ancora, con un salto indietro di alcuni anni: "I Gesuiti erano i responsabili del seminario regionale e della facoltà di teologia. Essi si trinceravano nel concetto di autorità e scaricando ogni responsabilità sugli orientamenti della Santa Sede e dell'episcopato sardo. Quest'ultimo a sua volta faceva altrettanto con un penoso spettacolo da scaricabarile".
Meglio tornare all'Archivio. Soddisfatto di tutti gli studiosi che lo frequentano? "Certamente. Vengono molti giovani, è un buon segno". E la ricerca storico-religiosa? "Non c'è attenzione generale. Stiamo uccidendo la memoria storica. Anche i sacerdoti delle parrocchie non sono scrupolosi come i loro predecessori". Il suo sogno? "Contribuire a ricostruire la storia del cattolicesimo sociale in Sardegna. Lì ci sono le forze vive della società sarda. Anche di quella contemporanea".
GIACOMO MAMELI
Quando il ballu tundu era vietato
Tra i frequentatori dell'Archivio diocesano di Cagliari c'è uno studioso che, più di altri, conosce la Sardegna del passato. È Carlo Pillai, di Quartu, 63 anni, ex direttore dell'Archivio di Stato di via Gallura a Cagliari e poi sovrintendente archivistico per la Sardegna. È un classico "tipo" da biblioteca, un "minatore di notizie", le scova nella storia, senza picozza e piccone. Attento alla cronaca e alle sue leggi canoniche. Attento certo alle cose dello spirito e della fede, ai travagli del dopo Concilio di Trento, ma anche a ciò che di terreno i parroci del sei-settecento annotavano nei quaderni.
Quando arriva in via Cadello Pillai fa lunghe conversazioni con monsignor Tonino Cabizzosu che della chiesa sarda è un onnisciente. Poi si tuffa tra scaffali e faldoni. Pochi giorni fa si stava occupando del "proliferare delle feste" che i religiosi gradivano poco. Pillai: «I parroci si lamentavano delle obrerie, volevano essere padrone dei santi, decidendo fiere e corse di cavalli e trascurando l'elevazione dello spirito». E poi «Più erano le feste paganeggianti, meno erano gli incassi per la chiesa».
Attorno al 1830 i Gesuiti "rigoristi" (a Sassari, Settimo, Pula e Sanluri) si scatenano contro il ballo sardo "perché le coppie danzano davanti alle chiese, uomini e donne stanno a contatto stretto con le mani". I barracelli prelevano i suonatori di launeddas proprio per impedire le danze. Proteste a iosa. Interviene il viceré che scrive all'arcivescovo di quei tempi: "Come ti sei permesso di ascoltare i Gesuiti?".
E poi tante pagine intriganti. Come quelle del 1770. Quando l'arcivescovo di Cagliari scopre che la sorella del prete di Escolca "litiga malamente perché ingelosita" della presenza di una "giovane serva del fratello parroco". L'arcivescovo interviene "ma non per reprimenda, solo per ripristino dei sacri canoni". Che vietavano che "giovani in età" stessero "nelle canoniche". Anche in illo tempore la carne era debole.