Cagliari, 17 gen 2010 (l'Unione Sarda) - La Sardegna sedotta e abbandonata? Questo era il titolo dell'editoriale in prima pagina de L'Unione Sarda alcuni mesi fa, esattamente il 14 giugno dello scorso anno. C'era in quel titolo, come si può notare, un punto di domanda, quasi nella speranza che le cose non fossero così. Oggi dobbiamo purtroppo constatare che probabilmente quell'interrogativo è da levare. Resta implacabile la frase: Sardegna sedotta e abbandonata. E spieghiamo perché.
La nostra isola ha di fatto un grande e storico problema economico, lo diciamo e lo ribadiamo da tanto tempo, non solo con gli editoriali del direttore ma anche con quelli di seri economisti, come Beniamino Moro, con le analisi e i dati del nostro Centro studi e, soprattutto, con la cronaca di tutti i giorni. Il nostro sistema industriale sta chiudendo i battenti, le piccole e grandi imprese falliscono, dobbiamo sopportare le prepotenze dell'Enel in materia di energia, i ricatti dell'Eni e, ultimamente, dell'Alcoa. Queste multinazionali che prima hanno fatto in Sardegna business guadagnando fior di miliardi e adesso decidono di mollare lasciandosi alle spalle siti inquinati per generazioni, un contesto di grave crisi economica, disoccupazione, cassa integrazione e malessere sociale crescenti.
Abbiamo un governo regionale (in carica da pochi mesi) che non può essere considerato responsabile di questa situazione, ereditata e lasciata incancrenire dalla precedente amministrazione regionale. Abbiamo un presidente del Consiglio nazionale assai legato alla Sardegna, dice di amarla, ma forse non quanto noi, anche se certamente più dei suoi ministri. Un presidente che esprime grande attenzione nei confronti della Sardegna, ma a parole, in concreto si vede poco o niente. Abbiamo tra le regioni del sud il predominio della Sicilia, nella sua capacità di prendere le risorse a disposizione, come è avvenuto per i fondi Fas. Certo, la Sicilia ha oltre cinque milioni di abitanti, ma anche il presidente del Senato (Schifani), i ministri della Giustizia (Alfano), della Difesa (La Russa), dell'Ambiente (la Prestigiacomo); i sottosegretari alla presidenza del Consiglio Miccichè (programmazione economica) e Crimi (sport), il sottosegretario ai trasporti Reina. La Sardegna ha un solo sottosegretario, Giuseppe Cossiga che, per quanto apprezzabili siano i suoi sforzi, ha sempre vissuto fuori dalla nostra isola e non ha il potere di incidere. In sostanza riteniamo il presidente del Consiglio in buona fede quando parla della sua attenzione nei confronti della Sardegna, lui dà gli input politici, ma all'interno del suo governo nessuno ha a cuore le sorti della nostra regione povera e sfortunata, tutto finisce in chiacchiere, di concreto non c'è quasi mai nulla. E invece la Sardegna avrebbe bisogno di investimenti per le infrastrutture e leggi regionali che semplifichino ed agevolino gli insediamenti e lo sviluppo delle imprese.
Se possiamo dare un suggerimento alla classe politica del centrodestra diciamo che il governo regionale, oltre a essere maggiormente incisivo nel fare tutto quanto è in suo potere a livello locale, a partire dal suo presidente, dai consiglieri e fino ai parlamentari sardi, dovrebbe pretendere una significativa presenza nel governo nazionale in termini non solo numerici ma anche nella qualità degli incarichi, creando così una sponda all'interno dell'esecutivo. E il presidente del Consiglio trovi il punto d'equilibrio per una giusta rappresentanza, non dimenticandosi che la Sardegna gli ha dato voti e fiducia. Solo così potremmo essere certi che i suoi input diventino fatti concreti e a questa regione sia dato quanto dovuto in termini di risorse per il necessario ammodernamento delle sue strutture.
Noi crediamo che sia arrivato il momento per ottenere queste cose e tutti i soggetti della Sardegna (e non solo L'Unione Sarda) devono alzare la voce: altrimenti prenderà sempre più corpo l'impressione che si sta facendo strada, e cioè che la Sardegna sia stata sedotta e abbandonata.
Al di là della volontà e dell'impegno del presidente della Giunta regionale di perorare a Roma la causa della Sardegna, dobbiamo constatare che da parte del governo nazionale non abbiamo attenzione concreta, ma solo apparente. E, con un po' di malizia, possiamo aggiungere che forse questo avviene perché siamo pochi (un milione e seicentomila anime) e perché le elezioni regionali si sono tenute qualche mese fa. La vittoria è già stata portata a casa e noi, semplicemente, non contiamo più nulla.
PAOLO FIGUS